Shakespeare nella casa di reclusione di Padova nell’Anno Santo della Misericordia

 

Una compagnia teatrale di caratura internazionale ma fortemente legata al nostro paese, una regista newyorkese che ama rileggere i grandi classici, un anniversario storico – i cinquecento anni del Ghetto di Venezia – e uno letterario, i quattrocento dalla morte di Wiliam Shakespare. E un evento determinante: l’Anno santo della Misericordia proclamato da papa Francesco. Frullate il tutto e portatelo in un carcere.

 

È quanto è avvenuto mercoledì 3 agosto nella casa di reclusione di Padova con la rappresentazione di “The Merchant in Venice”, una proposta teatrale basata su “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare con la regia della newyorkese (ma chicagoana di nascita) Karin Coonrod, le musiche di Frank London, scene e luci di Peter Ksander, costumi di Stefano Nicolao e audio di Andrea Santini. Il tutto in un capannone artigianale, normalmente adibito a deposito della produzione di biciclette, da un po’ di tempo ribattezzato con un pizzico di ironia “PalaGalileo”.

 

Ma è così. Basta un soffio, la magia del teatro, l’energia contagiosa della Compagnia de’ Colombari guidata con mano ferma da Karin, un esplosivo mix di lingue e dialetti diversi (a partire da un gustoso prologo del Ruzante), e i laboratori del carcere si trasformano in scene teatrali, per trasportarci a casa di Porzia, nella sinagoga di Venezia e in tutti gli scorci veneziani in cui il Bardo ha ambientato il suo Mercante.

 

Come definire un simile spettacolo? In apertura, il presidente di Officina Giotto Nicola Boscoletto ha usato la parola “dono”. Un dono che va in due direzioni: dalla Compagnia de’ Colombari al carcere, anzitutto perché l’intenzione di Karin Conrood fin dall’inizio era di portare la vicenda di vendetta e perdono, rancore e misericordia che lega Porzia, Shylock, Antonio e gli altri protagonisti dell’opera in un luogo come il carcere in cui simili parole, accanto ad altre quali giustizia, giudizio, espiazione suonassero in modo del tutto particolare. In secondo luogo però parliamo di un dono anche ridonato, «perché di questa occasione unica», ha spiegato Nicola Boscoletto, «abbiamo voluto a nostra volta fare un regalo a Papa Francesco, per ringraziarlo dell’Anno santo della Misericordia e dell’imminente scadenza del 6 novembre con il Giubileo delle carceri».

 

Anche due detenuti, Domenico e Mauro, hanno voluto esprimere la loro riconoscenza al papa della misericordia. «Ci ha fatto comprendere la differenza tra legge e giustizia», ha letto Domenico nel suo messaggio, «e che non sempre la legge è in sintonia con la giustizia, come viceversa la giustizia non sempre si sposa con la legge. Dal Santo Padre abbiamo compreso che giustizia e coscienza sono figlie della misericordia e che sono doni partoriti a cuore aperto». «Consentimi di ricordare le tue parole», ha aggiunto Mauro rivolgendosi idealmente al papa, «che mi hanno particolarmente colpito e mi accompagnano e sostengono giornalmente, nei momenti di preghiera e riflessione: “L’importante nella vita di ogni uomo non è non cadere mai lungo il percorso, importante è rialzarsi sempre!”»

 

Tutti i partecipanti, detenuti ma anche autorità locali, hanno assistito con grande immedesimazione all’azione scenica, nonostante un testo per la maggior parte in lingua inglese, con varie contaminazioni linguistiche, dall’italiano al dialetto veneziano del prologo, con inserti anche in altre lingue e (applauditissimi) intermezzi lirici: il tutto dominato da un’energia, da una capacità comunicativa e una presenza scenica che hanno catalizzato i presenti.

 

«Siamo qui perché essere presenti l’uno all’altro è una cosa importante», ha dichiarato una Conrood molto emozionata al termine della rappresentazione, «porteremo sempre questo luogo nel cuore». «Un atto di presenza del mondo dello spettacolo e della creatività in questa parte della società civile composta da persone ristrette», ha fatto eco il direttore dell’istituto Ottavio Casarano. Di certo un modo diverso di celebrare l’anniversario shakespeariano, in cui i confini tra il teatro e la vita si assottigliano fino a cadere del tutto.

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