Boscoletto al pellegrinaggio di Rimini: «Occorre pregare per i magistrati»

 

Vi proponiamo l’intervento di Nicola Boscoletto al pellegrinaggio nazionale con i carcerati “Fuori le sbarre” che si è svolto domenica 11 maggio a Rimini, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, con la collaborazione del Centro Nazionale per il volontariato, della Conferenza nazionale per il volontariato e giustizia, del gruppo di lavoro “La certezza del recupero”.

 

L’Uomo non è il suo errore, l’Uomo non è soltanto il suo errore. L’uomo non è neanche la condizione in cui vive, in cui si trova costretto a vivere. Pur lottando fino all’ultimo respiro affinché più persone possibili, affinché tutti possano vivere con dignità nel rispetto più assoluto dei diritti elementari, sarebbe un errore pensare, credere che la vita non si possa vivere, che la vita non possa avere un senso, che l’Uomo non possa vivere una speranza.

 

La giustizia e l’ingiustizia, per fortuna solo quelle terrene, sono nelle mani di uomini, sono loro che la amministrano. Allora chiedo a tutti i partecipanti di questo quinto pellegrinaggio di pregare anche per chi si trova ad amministrare questa giustizia e cioè i magistrati, tutti, in particolare per i magistrati di sorveglianza.

 

Oggi, con le leggi attuali, se venissero applicate, almeno 5000 detenuti potrebbero ottenere ciò che gli spetta: i permessi, l’articolo 21, la semilibertà e l’affidamento. Anche questi diritti non sono rispettati. Essere nei termini, avere la sintesi positiva, ottenere i pareri favorevoli di tutti ancora non basta ai magistrati per concedere quello che a queste persone spetterebbe.

 

Allora permettetemi di ricordare che cosa dice oggi sant’Agostino in merito al giudice ed alla pena.

 

“Soffermandosi poi sulle caratteristiche della pena, Agostino sostiene che anche se un rimedio è necessario, la pena deve essere proporzionata alla colpa del reo. Qui è inutile fare riferimenti anche a norme costituzionali vigenti per dire quanto sia più che moderna, diciamo attuale, questa puntualizzazione di Agostino.

 

In altri termini la pena non deve avere il carattere di una vendetta, né di una incontrollata ed esorbitante scarica emotiva, ma di un atto di ragione commisurato al duplice fine della conservazione della società e della correzione del colpevole. Nella proporzionalità sta la giustizia della pena.

 

Rivolto al giudice che è chiamato a giudicare i suoi simili, Agostino lo esorta, applicando la legge, a non perdere di vista mai la giustizia, - «non reprehenderes iniquitatem, nisi videndo iustitiam» - a non reprimere l’iniquità se non guardando la giustizia. E aggiunge: - «Reprehensor iniquitatis esse non potest qui non cernit iustitiam, cui comparatam reprehendat iniquitatem» - repressore o persecutore dell’iniquità non può essere chi non discerne la giustizia e a questa non informa la condanna del colpevole.

 

Giudicare con giustizia e con umanità è un dovere del giudice il cui adempimento esige alcuni requisiti:

 

1. che il giudice sia in grado prima di tutto di giudicare se stesso prima degli altri e quindi c’è un chiaro riferimento all’umiltà che deve assecondare il processo conoscitivo del giudice e poi deve mantenere sempre un saldo legame con la propria coscienza, anzi secondo Agostino la capacità di autogiudicarsi e di rimanere fedeli alla propria coscienza sono la condizione della rettitudine di ogni giudizio umano;

2. che sia dotato di buon senso «recta ratio»;

3. che sia in possesso di scienza giuridica «eruditio»;

4. che sia dotato di indipendenza «libertas»;

5. che sia consapevole del vero fine della funzione che la società gli affida e che Agostino esprime nel monito: - «peccata persequeris, non peccantem» - si devono perseguire i peccati e non i peccatori”.

 

(tratto dalla Lectio Magistralis di Pietro Calogero, allora procuratore capo della Repubblica di Padova, al convegno “Il cuore e la grazia - dieci anni di convegni sull’attualità di Sant’Agostino”, martedì 27 novembre 2007, aula magna dell’Università di Padova.)

 

Ho incontrato in questi 25 anni, in Italia ed all’estero, volti di magistrati, giudici, procuratori, operatori, imprenditori, cooperatori, con un cuore, una umanità - un coraggio in particolare per alcuni di loro che svolgono funzioni pubbliche di primissimo piano - che mi hanno colpito e commosso.

 

Per concludere permettetemi di raccontare due episodi relativi ad un gruppetto di magistrati brasiliani, così non faccio nessun torto a quelli Italiani.

 

Ad un convegno a cui ho avuto l’onore di essere invitato ad un certo punto interviene un magistrato anziano, con una lunghissima carriera, da poco andato in pensione. Ad un certo punto del suo intervento riassume in una frase la cosa più importante che ha imparato in tutta la sua carriera di magistrato, quasi ad essere un monito, un invito a farne tutti tesoro: “Ricordatevi che nessuno va in cielo senza la raccomandazione di un povero”.

 

Il secondo episodio lo racconta un altro magistrato. “Seguivo un detenuto che per 20 anni ad ogni occasione e da ogni carcere tentava di evadere (12 tentativi di evasione di cui metà riusciti), si fingeva ammalato e fuggiva facendosi prendere nel tragitto dal carcere all’ospedale, scavava cunicoli, corrompeva le guardie, etc.

 

Ad un certo punto decido di proporgli di andare in un carcere speciale (Apac) senza la presenza degli agenti e delle armi. Avevo provato tutto tranne rischiare sulla sua libertà. Passa un giorno, passa una settimana, un mese ed il telefono non squilla per comunicarmi che era evaso. Niente.

 

Allora un giorno vado a trovarlo in questo carcere di recupero e gli dico: «Spiegami perché non sei evaso, questo è il luogo in assoluto in cui è più semplice scappare». E lui con uno sguardo totalmente cambiato e sottovoce mi risponde: «dall’amore non si fugge». Per la prima volta quel ragazzo si era sentito accolto, voluto bene, non più giudicato e basta. Esempi di magistrati così, di persone detenute così, è possibile trovarne in ogni parte del mondo. Sono pochi ma ci sono. Ecco perché vi chiedo di dire una preghiera anche per loro.

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