Pellegrinaggio di Rimini: dalla certezza della pena alla certezza del recupero

 

Un appuntamento nazionale che si rinnova di anno in anno. La partenza è dal carcere di Rimini alle 14, si attraversano le vie della città pregando, cantando, ascoltando le diverse testimonianze di detenuti, recuperandi, operatori e volontari.

 

Parliamo del pellegrinaggio “Fuori le Sbarre vicino ai detenuti”, che si è svolto domenica 11 maggio a Rimini per iniziativa dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, in collaborazione ad altri enti ed associazioni. Una proposta per «unire simbolicamente chi sta dentro con chi sta fuori» e per realizzare ciò che anche don Oreste Benzi diceva: «Dobbiamo passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero perché un uomo recuperato non è più pericoloso».

 

Un tema caldo, caldissimo quello della certezza del recupero. Molto caro anche a noi di Officina Giotto. «Io lo chiamo il problema della filiera della giustizia», ha detto il presidente di Officina Nicola Boscoletto, invitato ad intervenire alla manifestazione. «Una filiera fatta di tre passaggi: assicurare alla giustizia le persone che delinquono, processarle al più presto e in modo equo, ma soprattutto recuperarle! Parlare solo di certezza della pena è incompleto, la giustizia così non fa il suo corso fino in fondo».

 

Per questo motivo Boscoletto nel suo intervento ha chiesto di pregare per chi amministra la giustizia nel nostro Paese, in particolar modo i magistrati di sorveglianza.

 

Di grande rilievo le presenze istituzionali. Tra gli altri Francesco Soddu, direttore della Caritas Nazionale e Marcella Reni, direttore del Rinnovamento nello Spirito. In piazza Cavour, al termine del cammino, hanno parlato alcuni esponenti del mondo politico, tra i quali l’onorevole Edoardo Patriarca, presidente della CNV (Conferenza Nazionale Volontariato) e Teresa Marzocchi, assessore alle politiche sociali della Regione Emilia Romagna. Ha accompagnato tutto il pomeriggio il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi.

 

Era naturalmente presente Paolo Ramonda, successore di don Oreste alla guida dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. «È il primo anno che facciamo un invito e una richiesta specifica al mondo politico», ha commentato, «chiediamo ai politici e al legislatore una normativa nuova che dia un riconoscimento istituzionale e amministrativo alle realtà educative di accoglienza. E lo facciamo insieme a tanta parte della società civile che da anni opera nel mondo carcerario».

 

«Il problema del nostro carcere non è solo il sovraffollamento o le condizioni igieniche e ambientali degradanti», ha aggiunto Ramonda. «È necessario dare un’altra visione della pena, investire sull’uomo, sulle sue risorse. Il carcerato è un bene che manca alla società. Abbiamo il dovere di farci carico di ciò. Questa è la sola strada, per una maggior sicurezza e per un risparmio economico e sociale». Parole da sottoscrivere in pieno.

 

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