Occhi puntati sull’Italia al convegno di Regina Coeli

 

Chissà se nell’opinione pubblica il modo di guardare al carcere è veramente cambiato. Per Thomas J. Dart, sceriffo – e in quanto tale responsabile delle carceri - della contea di Cook (Chicago) il vento negli States sta girando. Se non altro per il numero spaventoso di detenuti nelle carceri federali, le cifre ufficiali parlano di 2,3 milioni di persone. Certo che se in tutto il mondo si comincia a pensare al carcere come a qualcosa di diverso da un luogo di abbrutimento, ciò dipende anche da tante esperienze positive, molte delle quali imperniate sul lavoro per i detenuti.

 

Una di queste con sede a Padova, Officina Giotto, è stata al centro del convegno “Carcere e lavoro: un dialogo internazionale su un approccio innovativo di riabilitazione”, tenuto mercoledì 20 maggio nel Carcere di Regina Coeli di Roma, e prima ancora dello studio “Perdono e lavoro dietro le sbarre: la Cooperativa Giotto nel Carcere Due Palazzi di Padova”. La ricerca, coordinata da Andrea Perrone, ordinario di Diritto commerciale all’Università Cattolica di Milano presenta l’esperienza di Giotto, che dal 1991 sviluppa percorsi lavorativi per i detenuti del carcere cittadino. Il documento è frutto della collaborazione con il Fetzer Institute e il CESEN - Centro Studi sugli Enti Ecclesiastici dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

Voci da tutto il mondo nel carcere di Regina Coeli, a testimonianza che la fama dell’esperienza padovana ha varcato da tempo i confini nazionali. Ma prima ancora autorevoli conferme istituzionali. Nel suo messaggio, letto dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Santi Consolo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella parla di «positivi risultati raggiunti sul fronte del reinserimento sociale e del contrasto alla reiterazione dei reati», di «importante collaborazione tra impresa sociale e istituzione pubblica per favorire la ricostruzione dei rapporti familiari e la reintegrazione dei detenuti nel tessuto della comunità».

 

Sul lavoro in carcere l’inquilino del Quirinale ha le idee chiare: «Un maggiore sviluppo della formazione e del lavoro rappresenta il più valido strumento di emancipazione da situazioni di devianza e criminalità e contribuisce a trasformare il momento della pena in un tempo utile per la riscoperta della dignità di persona». Messaggi molto calorosi sono giunti anche dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Sandro Gozi e dal presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione monsignor Rino Fisichella.

 

«In Brasile esistono esperienze di carcere gestito dalla società civile, le Apac, che hanno molti punti di contatto con l’approccio di Giotto», ha raccontato il magistrato brasiliano Luiz Carlos Rezende E Santos, «ma dal punto di vista del lavoro abbiamo molto da imparare da voi. E comunque quando si punta tutto sull’attenzione alla persona i risultati si vedono subito, e si possono misurare in termini di crollo della recidiva». Anche in Germania si guarda con interesse al Bel Paese. Secondo Jürgen Hillmer dell’Università di Brema, che da trent’anni si occupa di queste tematiche, c’è parecchio da imparare dal coinvolgimento delle cooperative sociali italiane nel percorso di recupero dei detenuti. E per il già citato sceriffo Dart di Chicago «quello che fate è semplicemente fantastico. Noi stiamo cercando di imparare dalla vostra esperienza per diffonderla negli States».

 

«Occorre che le imprese vengano maggiormente a conoscenza di queste opportunità, e che siano dotate di tutti gli strumenti necessari per poter operare nelle carceri perlomeno senza patirne svantaggi», ha affermato in conclusione Paola Severino, già ministro della Giustizia e prorettore vicario della Luiss. E proprio pensando all’istituto universitario romano, «che è l’università delle imprese», ha proposto che le successive ricerche sull’utilità del lavoro in carcere vengano condotte in sinergia tra Università Cattolica e Luiss.

 

«Non vogliamo che quella di oggi sia una celebrazione», ha concluso il presidente di Officina Giotto, Nicola Boscoletto, «ma uno stimolo a rendere sistema in tutte le carceri italiane un percorso che favorisce il recupero delle persone attraverso il lavoro».

 

 

Qui sotto alcuni scatti di Marina Lorusso: per l'album completo clicca qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

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