Cucine del carcere, è tempo del Penultimo Pranzo

 

Il progetto di gestione della cucina del Casa di Reclusione di Padova chiude. E il primo pensiero va a tutti quelli che in questi 11 anni ci hanno seguito con affetto, sostenuto con forza, incoraggiato in ogni modo.

 

Per questo motivo

 

mercoledì 14 gennaio 2015

nella Casa di Reclusione di Padova

 

si terrà il

 

PENULTIMO PRANZO

 

preparato e servito dai detenuti che hanno partecipato al Progetto Cucine.

 

Sono state invitate le autorità e i giornalisti.

 

È un gesto che riteniamo doveroso nei confronti in primis del personale dell’Amministrazione Penitenziaria, dei detenuti che hanno partecipato a questo progetto e non da ultimo a tutte quelle autorità e personalità di ogni ordine e grado che ci sono state vicine e spesso sono venute a farci visita.

 

Per chi si fosse perso qualche passaggio di questa surreale vicenda, eccone i passaggi principali.

 

Una tipica storia all’italiana di burocrazia. Accade in dieci carceri italiane. Nel 2003 il Dap, Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, avvia una sperimentazione in dieci penitenziari in tutto il Paese, da Torino a Bollate, da Padova a Rebibbia nuovo complesso e casa di reclusione fino a Trani e Siracusa. Con il finanziamento del Dap si affida la gestione a cooperative sociali che devono formare professionalmente i detenuti. In sostanza si trasformano i cosiddetti lavori domestici - scopino, spesino, cuciniere, lavapiatti, sussidi diseducativi poco qualificanti e di nessun impatto sul recupero delle persone - in lavoro vero. Che significa lunghi periodi di formazione, affiancamento a professionisti, gestione con criteri di efficienza, adeguamento agli standard di qualità e sicurezza, fino all’inserimento dei detenuti in articolo 21 e misure alternative alla detenzione. E stipendi altrettanto veri, allineati al contratto collettivo nazionale.

 

Risultati? La gestione d’impresa si nota, eccome. La qualità dei pasti decolla. Il ricorso al cosiddetto sopravvitto, i generi che i detenuti possono acquistare con il proprio denaro, si abbatte. Anche il Dap è soddisfatto. L’ex capo del dipartimento Giovanni Tamburino il 17 marzo 2014 dopo un incontro con i direttori delle dieci carceri dichiara: «Bisogna confrontarsi con l’oggettività che danno i direttori, che vedono le cose concrete, pratiche, quotidiane. Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, anzi si va avanti». Con l’esplicito intento di passare dalla fase sperimentale a una strutturale e di diffondere l’iniziativa anche in altri istituti. Nel frattempo però Tamburino con il cambio di governo decade dall’incarico. E nonostante i solleciti delle cooperative e dei direttori a rinnovare l’affidamento del servizio che scade a fine 2014, da via Arenula giunge solo un assordante silenzio. Le cooperative scrivono due lettere, a luglio e ottobre, al ministro Orlando per discutere la questione. Anche i direttori scrivono una lettera al Dap il 28 luglio scorso e spiegano come la gestione affidata alle cooperative ha fatto risparmiare in termini di manutenzione delle strutture, di acquisto di prodotti, utenze, mercedi (le paghe dei detenuti), spese di mantenimento, mentre i detenuti hanno avuto modo di sperimentare rapporti lavorativi “veri” che li hanno portati ad acquisire competenze e professionalità decisive per il loro reinserimento sociale».

 

A tutto ciò nessun riscontro. Fino a metà dicembre scorso. Come risposta, una proroga di quindici giorni, fino a metà gennaio, che non lascia presagire nulla di buono.

 

Le cooperative non si arrendono e chiedono nuovamente un incontro con il ministro Andrea Orlando, il capo di gabinetto Giovanni Melillo e il capo del DAP Santi Consolo, appena insediato. Finalmente, in extremis, il ministro e il DAP fissano l’incontro con le cooperative e i garanti dei detenuti per il 30 dicembre. È un faccia a faccia di quattro ore e mezzo ma il nodo del servizio mensa resta irrisolto. Anche se uno spiraglio sembra aprirsi: un’ulteriore proroga sposta al 31 gennaio lo stop definitivo al finanziamento del progetto, alla ricerca di una soluzione che appare alquanto incerta per il poco tempo comunque a disposizione e soprattutto perché nella susseguente conferenza stampa Orlando non chiarisce la volontà politica del ministero sulla questione: si limita a ribadire che l’esperimento ha dato ottimi risultati e che la chiusura non è una scelta ideologica, ma dovuta “solo” a un problema “tecnico-giuridico” legato alla presunta incompatibilità dello strumento della Cassa delle Ammende a continuare la copertura finanziaria al progetto cucine.

 

Ma il dilemma non si risolve, perché dieci giorni dopo il Consiglio della Cassa delle Ammende con una decisione che ha del clamoroso misconosce l’indicazione del ministro e nega l’ulteriore proroga al 31 gennaio, decretando definitivamente la chiusura di tutto entro e non oltre il 15. Senza parole!

 

Resta il fatto che 170 detenuti e una quarantina di operatori esterni delle cooperative perdono un “posto di lavoro vero” e termina ingloriosamente una buona prassi che ci invidia tutto il mondo. E anche, forse ma speriamo di no, l’inizio del delinearsi di un vero e proprio smantellamento del lavoro penitenziario.

 

Come non leggere in questo senso la contemporanea decisione del ministero di decurtare rispetto alle richieste delle cooperative di oltre un terzo la disponibilità del fondo della legge Smuraglia che sostiene le attività lavorative intramurarie?

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