Pagina99, Bruno e le carceri Usa. Reportage da Chicago

 

Si intitola “Farcire i ravioli nel megacarcere degli Stati Uniti”, ed è un documentatissimo e avvincente servizio da Chicago firmato da Pietro Pruneddu e uscito su Pagina99 di sabato 29 novembre. Il giornalista è stato invitato da Bruno Abate nella prigione più grande d’America, dove lo chef di origini napoletane ha avviato una scuola di cucina italiana per detenuti. Ma Pruneddu non si limita a raccontare la meritoria iniziativa di Bruno, scava nel profondo e ci restituisce un’immagine inquietante del fenomeno carceri negli Stati Uniti, il paese in cui si trova un quarto dei detenuti di tutto il mondo.

 

Nel primo articolo Pruneddu racconta di Bruno, ristoratore di successo, elegante come un attore cinematografico, ma anche sensibile alle necessità del prossimo. «Ho fatto tante cose di successo nella mia vita eppure mi sembrava di non aver mai combinato nulla di importante», racconta Abate nel pezzo. «Qualche anno fa mia figlia mi ha raccontato la storia di una sua amica, il cui padre era detenuto nel carcere di Padova. Questo signore stava bene perché in prigione lavorava alla preparazione dei panettoni “Giotto”, i più buoni d’Italia. Guadagnava dei soldi, aveva imparato un mestiere e impiegava il suo tempo in modo pieno».

 

L’esempio dei penitenziario veneto - prosegue il pezzo di Pruneddu - è stato un’ispirazione «sono rimasto affascinato e ho proposto allo sceriffo del carcere di Chicago un corso di italian cooking per detenuti». «Negli Usa c’è grande ignoranza sul cibo», dichiara ancora Bruno nel pezzo, «solo una persona su 100 sa cosa sia il basilico, e questo dice tutto. Io voglio educarli a mangiare bene, sia i miei studenti del carcere che i clienti del ristorante». L’ipotesi, ancora un miraggio, così si conclude l’articolo, «sarebbe quella di aprire un’azienda esterna dove assumere chi esce dal penitenziario. Un lavoro tra i fornelli da cui ricominciare, con un impasto di farina, uova e libertà».

 

Segue un altro articolo dal titolo Da qui è passato pure Al Capone e gli portavano i piatti da fuori, in cui si raccontano gli “ospiti” più famosi, tra i quali appunto il superboss mafioso, della Cook County Jail, passata alla storia anche, spiega Pruneddu, per aver ospitato un leggendario concerto di BB King, diventato un album live nel 1971, sulla scia di quanto fatto da Johnny Cash nel 1965 a Folsom Prison e nel 1969 a San Quentin.

 

Impressionanti infine i dati dell’ultimo pezzo, Cosa c’è dietro il boom di galeotti, che esordisce con un inequivocabile «Nel mondo, un carcerato su quattro si trova negli Stati Uniti». Numeri da paura: quasi 2 milioni e mezzo di detenuti, quadruplicati negli ultimi trent’anni. «Se si applicasse lo stesso rapporto in Italia», annota l’autore, «avremmo 450mila detenuti, circa otto volte in più, rispetto ai 53 mila che attualmente sono  reclusi nel nostro Paese».

 

E ci sono pure problemi di discriminazione razziale. Ogni 100 detenuti, 40 sono afroamericani nonostante rappresentino solo il 13% della  popolazione statunitense. Una persona di colore su 10 e un ispanico ogni 36 è stato in prigione almeno una volta nella vita. Senza parlare del delicatissimo tema dei minori: quasi 100 mila i reclusi e su 150 mila ergastolani sono ben tremila i minorenni.

 

Note dolenti anche per quanto riguarda gli esorbitanti costi del sistema carcerario degli States. «Nel 2012 gli Stati Uniti hanno speso 80 miliardi di dollari per le carceri, circa 30 mila dollari a detenuto», scrive Pruneddu. «Una persona condannata a vita, che per ipotesi passi 40 anni in detenzione, costa ai contribuenti 1 milione e mezzo di dollari».

 

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